Salì sul patibolo di Piazza Mercato, il 12 dicembre 1799, nato a Pomarico il 3 aprile 1755. Suo padre, Giuseppe, era di Montalbano Ionico; sua madre, invece, era di Pomarico e si chiamava Giulia Sisto.
Presto la sua famiglia si trasferì a Montalbano Ionico. A dieci anni Nicola fu mandato a studiare nel seminario di Tricarico. A quattordici anni, vero e proprio genio, vinceva la cattedra di matematica presso il Liceo di L’Aquila; ma non poté assumere servizio, non avendo ancora compiuto i quindici anni richiesti per legge. Poco dopo si laureava a Bologna, in giurisprudenza. Fece presto una bella carriera di funzionario onesto e lealmente ligio alla monarchia. Fu, infatti, docente di matematica e filosofia razionale a Bari, poi Soprintendente agli studi della Regia Scuola, quindi Governatore in Calabria e Campania. Fu in questa veste che lo colse la rivoluzione del 1799. Cinque anni prima, cioè nel 1794, quando Pagano si inimicava col re prendendo le difese dei presunti congiurati De Deo, Galiani e Vitaliani, poi condannati a morte, Nicola Fiorentino scriveva ancora elogi al re. Bisogna perciò pensare che la sua adesione alla rivoluzione repubblicana sia avvenuta negli ultimi mesi se non giorni, forse in coincidenza con la fuga del re e della regina, che, incalzati dai rivoluzionari napoletani e dall’esercito di Championnet, abbandonavano vilmente Napoli e si rifugiavano in Sicilia. Nicola Fiorentino, uomo di sani princìpi, rigoroso burocrate e onesto funzionario di Stato, dovette vivere quella fuga come un tradimento, che lo autorizzava a passare dalla parte dei vincitori, fra i quali, del resto, si trovavano molti amici e colleghi di studio, fra i quali Francesco Lomonaco, suo parente, nativo di Montalbano Ionico.
L’adesione al nuovo ordine avvenne con la composizione di un Inno a San Gennaro e, quindi, con un nobile appello “Ai giovani cittadini studiosi”, con cui Fiorentino invitava i giovani alla mobilitazione. Forse partendo dalla sua esperienza, invitava anche alla moderazione e alla comprensione per tutti quelli che, in precedenza, erano stati dalla parte della monarchia, purché non recidivi e onesti. Quanto a lui, se anche era stato funzionario del re, lo era stato in forma del tutto particolare e non diversamente, per esempio, da Mario Pagano e da Onofrio Tataranni, cioè con grande apertura verso la “civiltà dei lumi”.
Anche lui, come Onofrio Tataranni, era cattolico e, come Onofrio Tataranni, era convinto che non ci fosse contrasto tra il messaggio umanitario e democratico dei filosofi illuminati e quello proprio della dottrina cattolica, quale appare nei Vangeli. Essendo Dio il padre di tutti gli uomini, Egli non può non volere la felicità di tutti. La religione, perciò, deve intendersi come fondamento e coronamento di qualunque repubblica, che voglia la felicità dei sudditi. Non può, a voler usare le parole del Fiorentino, esistere “una repubblica di atei”, perché le leggi civili “debbono essere cospiranti con quelle della religione, per non distruggere con una mano ciocché si edifica coll’altra”.
Anche Nicola Fiorentino, come Mario Pagano e Onofrio Tataranni, in lontananza vedeva, utopisticamente, una nuova società cosmopolita, difficile da realizzarsi, certo, ma, come diceva anche Pagano, tale da meritare l’impegno dei buoni e dei saggi. Fondamentale, in tale prospettiva, era l’educazione e, quindi, la scuola. Questo non significava che non si dovesse operare nell’immediato. Interessanti, sotto questo profilo, diventavano gli inviti del Fiorentino ad incrementare l’agricoltura, a istruire gli agricoltori in scuole apposite (prima idea di “cattedre ambulanti”), a creare nuove Università in provincia, a curare il risanamento igienico-sanitario degli abitati, anche più piccoli, per esempio creando fognature. Per tal via, giusta le preoccupazioni anche di Tataranni, si sarebbe invogliata la gente ad abbandonare Napoli e a rientrare nei propri paesi, evitando l’enormità di un mostruoso Regno macrocefalo, la cui popolazione, addensata inverosimilmente nella capitale, rendeva deserta la provincia e, con essa, le campagne. Erano idee che esigevano la presenza di una monarchia intelligente e liberale. Tale, però, non fu quella di Ferdinando IV e di sua moglie, talché appare del tutto logico e naturale che Nicola Fiorentino, a quarantaquattro anni, facesse il salto verso il governo repubblicano. Logica e naturale, ovviamente, dal punto di vista della reazione del re e dei suoi ministri, fu anche la sua condanna a morte.
Opere principali di Nicola Fiorentino sono: Princìpi di giurisprudenza criminale (1782), Istituzioni di pratica criminale (1785), Riflessioni sul Regno di Napoli (1794), Ragionamento su la tranquillità della Repubblica (1799)