Giovanni Battista Bonelli, andò in pensione come Presidente dei giudici per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano, qualche anno dopo “tangentopoli”, cioè delle inchieste giudiziarie che iniziate nel capoluogo lombardo, decapitarono la prima Repubblica e liquidarono il pentapartito (DC-PSI-PSDI-PRI-PLI) che aveva governato l’Italia dal 1981 al 1991.
Era nato a Montalbano Jonico ed è morto a Milano.
La madre, Maddalena Cascavilla, proveniva da San Giovanni Rotondo ed era stata una delle prime pie donne ad essere vicina a padre Pio.
Spesso da piccolo portava Giovanni Battista a salutare il frate di Pietralcina, quando si recava a far visita ai familiari.
Quando vinse il concorso da giudice presso la procura della repubblica di Milano, recatosi dai parenti a San Giovanni Rotondo, incontrò padre Pio che gli chiese cosa facesse ora nella vita e Giovanni Battista orgoglioso di farglielo sapere e anche un po’ impettito, gli rispose:
– Sono giudice presso la Procura della Repubblica di Milano.
Padre Pio lo fulminò con uno sguardo e gli replicò:
– Povera Repubblica allora, comportati bene e giudica sempre con coscienza.
Nel 1963 a Giovanni Battista morì una sorella di 36 anni per tisi.
Il carteggio della corrispondenza tra la famiglia Bonelli e Padre Pio, su richiesta dei frati di San Giovanni Rotondo, è stato acquisito per la causa di beatificazione.
Maddalena Cascavilla è citata da San Pio anche in alcune lettere inviate a quelle che lui chiama “carissime figliuole” e, specificatamente, in quelle che portano la data del 7 dicembre 1916, 17 aprile 1918, del 1 maggio 1918 e del 5 maggio 1918.
Il Giudice fu amico di Vittore Fiore di Gallipoli, che è stato un giornalista e scrittore, tra i maggiori protagonisti della cultura e della politica meridionalista italiana; antifascista, durante il ventennio venne prima incarcerato e poi inviato al confino, fu un dirigente del movimento giovanile liberalsocialista e poi ebbe incarichi nel partito d’azione e nel partito socialista italiano. Giovanni Battista in origine era anche lui socialista.
A Milano Giovanni Battista Bonelli fu tra i fondatori e primo presidente dell’associazione Italia-Cina.
Poi si distaccò da quella formazione culturale e piano piano approdò ad un mondo culturale opposto sia al materialismo socialista che a qualsiasi manifestazione di pensiero libertario e radicale.
Le sue letture negli ultimi anni di vita le ha dedicate a Louis Ferdinand Céline, Oswald Spengler, Yukio Mishima, Julius Evola, ecc., ecc.
Nominato componente della commissione per la riforma dei codici negli anni ‘70, si dimise non condividendone l’impostazione e profeticamente affermò:
– I vecchi codici difendevano la comunità, i nuovi difenderanno in modo esasperato i diritti individuali a discapito della comunità e del suo bisogno di sicurezza.
Riteneva deleterio il protagonismo di alcuni giudici; un vero magistrato, sosteneva, deve annullare la sua individualità nella funzione oggettiva di amministratore della giustizia.
Quando tornava a Montalbano Jonico non era raro vederlo girare da solo per il centro storico, pensieroso, concentrato, come se volesse cogliere le sensazioni che quei muri e quelle strade gli davano.
Sosteneva che qui migliorava la condizione di salute dei suoi polmoni, acciaccati da cinquanta anni di smog nella capitale lombarda.
Vestiva senza alcuna ricercatezza; gli abiti, sosteneva, servono per coprire il corpo e basta.
I suoi rapporti con il Ministero di Grazia e Giustizia non furono sempre sereni, proprio a causa del suo carattere indipendente. Riportiamo un articolo pubblicato su La Repubblica del 7 maggio del 1987 e la sentenza che lo aveva v isto contrapporsi alla nomina a Procuratore capo della Repubblica di Milanoa Berie di Argentine Adolfo.
IL MAGISTRATO BONELLI FORSE SARA’ TRASFERITO
MILANO
Giovanni Battista Bonelli, il capo dell’ ufficio istruzione di Milano, ha trascorso la giornata di ieri nel normale lavoro di assegnazione delle cause e non ha fatto commenti alla notizia giunta da Roma relativa alla richiesta di un suo trasferimento che il ministro di Grazia e giustizia Virginio Rognoni avrebbe formulato al Consiglio superiore della magistratura. L’ istanza sarebbe conseguente a una ispezione ministeriale il cui risultato consentirebbe di richiamarsi all’ articolo 2 della legge sulle guarentigie, che prevede il trasferimento di un magistrato quando il suo prestigio non sia più ritenuto tale da consentirgli di portare avanti le sue funzioni. Il dottor Bonelli, che ha 65 anni, è originario di Montalbano Ionico (Matera) ed è in magistratura da quasi 40 anni. Prima di essere nominato consigliere istruttore, carica attribuitagli quattro anni fa, era sostituto procuratore generale, sempre a Milano.
SENTENZA
nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’art. 6 della legge
24 maggio 1951, n. 392 (Distinzione dei magistrati secondo le
funzioni. Trattamento economico della magistratura nonche’ dei
magistrati del Consiglio di Stato, della Corte dei conti, della
Giustizia militare e degli avvocati e procuratori dello Stato) e
dell’art. 188 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento
giudiziario), promosso con ordinanza emessa il 20 dicembre 1989 dal
Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia nel ricorso
proposto da Bonelli Giovanni Battista contro il Ministero di Grazia e
Giustizia ed altri, iscritta al n. 204 del registro ordinanze 1990 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18 prima
serie speciale dell’anno 1990;
Visto l’atto di costituzione di Beria di Argentine Adolfo, nonche’
l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell’udienza pubblica dell’8 gennaio 1991 il Giudice
relatore Enzo Cheli;
Udito l’Avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Nel giudizio promosso da Giovanni Battista Bonelli contro il
Ministero di Grazia e Giustizia ed il Consiglio superiore della
magistratura, nonche’ nei confronti di Adolfo Beria di Argentine, per
ottenere l’annullamento del decreto del Presidente della Repubblica
di nomina del procuratore generale presso la Corte d’appello di
Milano, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha
sollevato d’ufficio questione di legittimita’ costituzionale – per
violazione degli artt. 107, commi terzo e quarto, 112 e 108, primo
comma, della Costituzione – dell’art. 6 della legge 24 maggio 1951,
n. 392 (Distinzione dei magistrati secondo le funzioni. Trattamento
economico della magistratura nonche’ dei magistrati del Consiglio di
Stato, della Corte dei conti, della Giustizia militare e degli
avvocati e procuratori dello Stato) e dell’art. 188 del r.d. 30
gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario) nella parte in cui
dette norme si riferiscono alla nomina di procuratore generale della
Corte d’appello.
Nell’ordinanza di rinvio si rileva che le norme della Costituzione
relative alla magistratura prevedono una riserva di legge volta ad
assicurare al pubblico ministero operante presso la giurisdizione
ordinaria e presso le giurisdizioni speciali garanzie di indipendenza
tendenzialmente uguali a quelle dei giudici e che tale riserva
concerne gli uffici del pubblico ministero “non soltanto nel momento
del loro operare ma anche nel momento in cui vengono costituiti e
quindi anche nel momento della nomina dei capi degli uffici”.
Il principio della riserva di legge in materia di ordinamento
giudiziario sarebbe violato dall’art. 6 della legge 24 maggio 1951,
n. 392 e dall’art. 188 del r.d. 30 gennaio 1941, n.12, in quanto tali
norme non detterebbero alcuna effettiva disciplina sul conferimento
degli uffici direttivi del pubblico ministero, limitandosi a regolare
nell’identico modo il conferimento di uffici direttivi diversi fra
loro, quali gli uffici (giurisdizionali) di presidente di Corte
d’appello e gli uffici (non giurisdizionali) di procuratore generale
presso la Corte d’appello.
Il giudice a quo afferma, in particolare, che la riserva relativa
di legge comporta non soltanto che la disciplina della nomina agli
uffici direttivi del pubblico ministero trovi la sua base nella
legge, ma altresi’ che la legge indichi criteri idonei a delimitare
la discrezionalita’ del Consiglio superiore della magistratura, cosi’
da non lasciare all’arbitrio di tale organo la determinazione dei
criteri stessi.
Invece – sostiene sempre il Tribunale amministrativo regionale
remittente – le leggi sull’ordinamento giudiziario hanno sempre
omesso di indicare i criteri idonei a delimitare la discrezionalita’
del Consiglio superiore della magistratura, con la conseguenza che i
criteri applicati sarebbero espressione della discrezionalita’
amministrativa del Consiglio e non della discrezionalita’ legislativa
del Parlamento.
2. – Nel giudizio dinanzi alla Corte si e’ costituito il dott.
Adolfo Beria di Argentine, controinteressato nel giudizio a quo, ed
ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato.
La difesa del dott. Beria di Argentine sostiene che la garanzia
costituzionale di indipendenza del pubblico ministero non e’ in
sostanza diversa da quella esistente per i giudici, ma – in ragione
del fatto che l’attivita’ dei pubblici ministeri non e’
giurisdizionale – e’ stata espressa in una norma ad hoc (l’art. 107,
quarto comma, Cost.) posta a garanzia dell’ufficio piuttosto che dei
singoli componenti: il che non implica l’esigenza di criteri
diversificati per le nomine agli uffici giurisdizionali e per le
nomine agli uffici del pubblico ministero.
3. – Nel suo atto di intervento la Presidenza del Consiglio dei
ministri riconosce che la riserva di legge caratterizza l’intero
ordinamento giudiziario, ma esclude che tale principio renda
necessarie regole cosi’ minute e puntuali da rendere automatiche le
scelte relative agli atti che incidono sullo status dei magistrati,
dove si richiedono apprezzamenti e valutazioni assolute o
comparative.
Le disposizioni impugnate enunciano i criteri cui e’ tenuto ad
uniformarsi il Consiglio superiore della magistratura nel
conferimento di uffici, attraverso il richiamo ai concetti di
“professionalita’”, di “merito”, di “anzianita’” e di “attitudini”
all’incarico da assegnare.
Secondo la Presidenza del Consiglio, dunque, non puo’ parlarsi ne’
di arbitrio dell’organo di autogoverno ne’ di violazione del
principio della riserva di legge, tanto piu’ che il Consiglio
superiore della magistratura si e’ anche dato regole per la
valutazione di ciascuno dei criteri suindicati.
Quanto all’altro profilo di illegittimita’ denunciato, relativo
alla assenza di norme specifiche per il conferimento di incarichi
direttivi nel settore requirente, la Presidenza del Consiglio osserva
Quanto all’altro profilo di illegittimita’ denunciato, relativo
alla assenza di norme specifiche per il conferimento di incarichi
direttivi nel settore requirente, la Presidenza del Consiglio osserva
Quanto all’altro profilo di illegittimita’ denunciato, relativo
alla assenza di norme specifiche per il conferimento di incarichi
direttivi nel settore requirente, la Presidenza del Consiglio osserva
che non ricorrono ragioni per una peculiare normativa, oltre quella
generale sugli incarichi direttivi, in quanto l’ordinamento
giudiziario non prevede ruoli e carriere separate, ma anzi estende ai
magistrati del pubblico ministero le medesime garanzie assicurate ad
ogni altro appartenente all’ordine giudiziario.
D’altra parte, uno dei criteri valutabili nel conferimento degli
incarichi e’ quello dell’attitudine all’incarico stesso e, pertanto,
nell’ipotesi di ufficio direttivo requirente, il Consiglio superiore
della magistratura dovra’ valutare la specifica attitudine degli
aspiranti, attraverso le esperienze professionali di ciascuno di essi.
Di qui la richiesta che la questione sia dichiarata infondata.
4. – Nell’imminenza dell’udienza di discussione ha presentato
memoria la difesa del dott. Beria di Argentine insistendo sulle
deduzioni gia’ formulate.
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha
proposto questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 6 della
legge 24 maggio 1951, n. 392 (Distinzione dei magistrati secondo le
funzioni. Trattamento economico della magistratura nonche’ dei
magistrati del Consiglio di Stato, della Corte dei conti, della
Giustizia militare e degli avvocati e procuratori dello Stato) e
dell’art. 188 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento
giudiziario), nella parte in cui si riferiscono alla nomina di
procuratore generale della Corte d’appello, per violazione degli
artt. 107, commi terzo e quarto, 112 e 108, primo comma, della
Costituzione.
Ad avviso del Tribunale remittente le norme denunciate verrebbero a contrastare:
a) con il principio della riserva di legge in materia di
ordinamento giudiziario, in quanto non detterebbero alcuna effettiva
disciplina suscettibile di individuare criteri idonei a delimitare la
discrezionalita’ del Consiglio superiore della magistratura nel
conferimento degli uffici direttivi del pubblico ministero (con
riferimento particolare alla nomina di procuratore generale presso le Corti d’appello);
b) con la particolare posizione di indipendenza riconosciuta
dalla Costituzione al pubblico ministero, avendo stabilito identici
criteri di scelta per il conferimento di tutti gli uffici direttivi,
senza porre alcuna distinzione tra uffici direttivi giurisdizionali e
uffici direttivi del pubblico ministero.
2. – La questione non e’ fondata.
L’art. 108, primo comma, della Costituzione stabilisce – a
garanzia dell’indipendenza della magistratura – una riserva di legge
in materia di ordinamento giudiziario. Ed alle norme sull’ordinamento
giudiziario rinvia l’art. 107, quarto comma, Cost. per
l’individuazione delle garanzie riconosciute al pubblico ministero,
che, nel nostro ordinamento, e’ “magistrato appartenente all’ordine
giudiziario, collocato come tale in posizione di istituzionale
indipendenza rispetto ad ogni potere” (v. sent. n. 190/1970).
La riserva di legge che e’ stata posta dalla Costituzione a
fondamento della disciplina sull’ordinamento giudiziario al fine di
garantire lo status di indipendenza della magistratura sia giudicante
che requirente concerne non solo l’esercizio delle funzioni
giudiziarie, ma anche il momento dell’investitura in tali funzioni,
ivi compresa la nomina dei magistrati negli uffici direttivi. Con
specifico riguardo al conferimento di tali uffici, dalla riserva di
legge discende la necessita’ che sia la fonte primaria a stabilire i
criteri generali di valutazione e di selezione degli aspiranti e le
conseguenti modalita’ della nomina. La riserva non implica, invece,
che tali criteri debbano essere predeterminati dal legislatore in
termini cosi’ analitici e dettagliati da rendere strettamente
esecutive e vincolate le scelte relative alle persone cui affidare la
direzione degli stessi uffici, annullando di conseguenza ogni margine
di apprezzamento e di valutazione discrezionale, assoluta o
comparativa, dei requisiti dei diversi candidati. Pertanto, nella
materia in esame, la riserva di legge sancita dalla Costituzione puo’
dirsi rispettata ove il legislatore abbia provveduto ad enunciare
criteri sufficientemente precisi, in grado di orientare la
discrezionalita’ dell’organo decidente verso la scelta della persona
piu’ idonea.
Ora, l’art. 6 della legge 24 maggio 1951, n. 392, prevede che, per
il conferimento degli uffici direttivi in esso elencati (tra cui
rientra quello di procuratore generale presso la Corte d’appello), si
deve tener conto dei criteri dell'”anzianita’” e del “merito”. A sua
volta l’art. 193 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, nel dettare
disposizioni sull’assegnazione delle sedi per promozione, opera un
esplicito riferimento alle “attitudini” del magistrato in relazione
al posto da assegnarsi. Ed alle attitudini all’esercizio di funzioni
direttive fa anche riferimento il nucleo precettivo tuttora valido
dell’art. 188 del citato r.d. n. 12 del 1941, come sostituito
dall’art. 41 del r.d.lgs. 31 maggio 1946, n. 511. I criteri cosi’
delineati si presentano – rispetto agli uffici da coprire – definiti
e razionali, idonei cioe’ a condurre, attraverso una loro valutazione
sia analitica che globale, alla corretta individuazione del piu’
idoneo degli aspiranti.
Va, pertanto, escluso che le norme impugnate siano tali da
incorrere nella violazione degli obblighi derivanti dalla riserva di
legge disposta dalla Costituzione in tema di ordinamento giudiziario,
sotto il profilo della insufficiente delimitazione della
discrezionalita’ del Consiglio superiore della magistratura.
2. – Anche la censura di incostituzionalita’ riferita alla mancata
previsione di una disciplina differenziata per la nomina del
procuratore generale della Corte di appello rispetto a quella
prevista per il presidente della stessa Corte non risulta fondata.
E invero il fatto che i criteri per la nomina degli uffici
direttivi requirenti siano identici a quelli previsti per il
conferimento di uffici direttivi giurisdizionali e’ frutto di una
scelta del legislatore che non contrasta con la Costituzione, ove si
consideri che l’art.107, ultimo comma, Cost., non impone, per questo
aspetto, un trattamento differenziato tra magistratura giudicante e
magistratura requirente. Del resto, risulta anche evidente come
l’identita’ dei criteri generali fissati dal legislatore non venga
necessariamente a tradursi nella uniformita’ delle valutazioni
concrete, dal momento che lo spazio riservato al giudizio del
Consiglio superiore della magistratura consente pur sempre di
effettuare valutazioni differenziate per le due categorie di
funzioni, tenendo conto delle attitudini e della idoneita’ dei
candidati all’assolvimento dei compiti di direzione connessi,
rispettivamente, agli uffici giurisdizionali e agli uffici
requirenti.
Di qui l’infondatezza delle censure di legittimita’ costituzionale
prospettate, sotto il profilo in esame, in riferimento agli artt.
107, commi terzo e quarto, e 108, della Costituzione.
Del tutto inconferente rispetto alla normativa impugnata appare,
infine, il riferimento al principio costituzionale di obbligatorieta’
dell’azione penale sancito dall’art. 112 Cost., che attiene
all’esercizio delle funzioni del pubblico ministero e non
all’organizzazione ed alla direzione degli uffici del settore
requirente.